Quante volte vi è capitato di assistere a un litigio? E quante volte avete fatto caso al povero amico dei litiganti che si ritrova, suo malgrado, nel mezzo della baruffa?
La cosa più affascinante da osservare è la postura da statua di sale che di solito assume il poveretto che assiste alla lotta tra titani, e quanto più è feroce la discussione e ristretto lo spazio di azione della scena (che potremmo definire per l’occasione un’arena), più lo sfortunato spettatore si irrigidisce e sembra persino che trattenga il respiro per non farsi notare.
Questo fenomeno prende il nome di tanatosi (dal dio della mitologia greca Thanatos che personificava la morte) ed è un comportamento degli animali di difesa o di attacco, a seconda che si tratti di preda o predatore.
L’etologia, la disciplina che studia il comportamento animale nel suo ambiente naturale, ha messo in evidenza questo aspetto anche nel mondo umano e viene usato, principalmente come meccanismo inconscio di fuga. La reazione istintiva dell’uomo al pericolo (l’istinto di attacco/fuga) in questo caso viene attuata in modo molto particolare che si basa su un inganno della percezione del movimento che potrebbe segnalare la propria presenza attiva, la nostra attenzione è naturalmente attratta dagli oggetti in movimento piuttosto che da quelli fermi. Il movimento indica vitalità nel regno animale e molti predatori non amano le prede già morte… avete presente gli agnelli che stirano le zampe e si fingono morti se spaventati o se percepiscono un grave pericolo? Altri animali, come l’opossum, addirittura emettono gas o liquidi corporei maleodoranti che simulano l’odore della decomposizione… neanche voi mangereste una bistecca maleodorante, non è vero?
Nell’uomo la tanatosi si manifesta con una rigidità del collo e degli arti e la tendenza a spostare la testa, se non tutto il corpo, all’indietro rispetto, come nell’esempio in apertura, al luogo del litigio. Lo sguardo di solito si sposta in basso, in alternativa segue la scena se c’è la reale possibilità di un pericolo fisico.
A volte anche in una situazione di paura eccessiva, che sfocia nel panico, una possibile reazione potrebbe includere questa particolare forma di immobilizzazione del corpo, laddove altre persone reagirebbero in un altro modo, fuggendo o affrontando il nemico (dobbiamo considerare il meccanismo della paura utile all’essere umano in quanto permette un veloce adattamento del corpo alle condizioni psicologiche e fisiche ottimali per un’adeguata reazione).
Molto più spesso ricorriamo inconsapevolmente a questa tecnica in maniera più leggera nella nostra vita quotidiana: «fare gli indiani» è esattamente il modo di dire che maggiormente si avvicina a questo comportamento. Qualche esempio: negare l’attenzione a un mendicante mantenendo lo sguardo sul giornale e mantenendosi rigidi in questa posizione, non rispondere a una domanda collettiva o indirizzata a noi fingendo di essere sovrappensiero e continuando a fare esattamente l’azione che si stava facendo in precedenza.
Tratto dal libro: “101 cose da sapere sul linguaggio segreto del corpo” di Francesco Di Fant, Newton Compton editori, Roma 2012.